L’anca nel bambino: potrà correre?

31 Lug 2015

di Salvatore Bonforte

Con “Displasia evolutiva dell’anca” si indica il complesso delle anomalie dell’articolazione tra la testa del femore e il bacino del bambino.

La displasia è la più frequente malformazione del sistema scheletrico (su 100 bambini nati 2-3 presentano questo problema).

Esistono dei fattori di rischio per i neonati:

  1. familiarità;
  2. primogenitura;
  3. sesso femminile: è più colpito rispetto al sesso maschile (su 5 bambini ammalati 4 sono femmine e 1 è maschio);
  4. presentazione podalica e traversa;
  5. oligoidramnos (poco liquido amniotico);
  6. gemellarità;
  7. elevato peso alla nascita;
  8. malformazioni congenite muscolo-scheletriche (ad esempio: piede torto).

La forma più grave di displasia, la lussazione, se  non trattata, non permette al paziente di camminare correttamente, determinando evidente zoppia. Le forme meno gravi possono passare inosservate fino ad età adulta, provocando però ugualmente gravi disturbi come l’artrosi precoce dell’articolazione dell’anca.

Il pediatra ha l’importante compito di diagnosticare tempestivamente questa patologia. A tale scopo, fin dalla prima visita di controllo compie due manovre (“di Ortolani” e “di Barlow”), che gli permettono però di diagnosticare solo le forme gravi di displasia, come la lussazione, ma non le forme di inferiore gravità, le quali necessitano comunque di terapia.

Per tale motivo, in aggiunta all’esame clinico va eseguito quello ecografico, non prima delle 6-8 settimane di età. È bene farlo a tutti i bambini, ma se ciò non è possibile è indispensabile farlo almeno a quelli che presentano un fattore di rischio.

L’ecografia è più indicata della radiografia: questa ultima può essere effettuata solo a partire dal quarto mese di vita (prima le ossa del bambino non sono sufficientemente calcificate), non fornisce informazioni utili come l’ecografia e infine la presenza di radiazioni la rende sconsigliabile.

La terapia della displasia consiste nella riduzione della testa del femore nel fondo dell’acetabolo (la sua sede naturale) e il mantenimento in questa posizione fino a quando non si è raggiunta la normalità. Per collocare correttamente i due capi articolari il medico esperto piega le cosce del piccolo tenendole aperte (flesso-abduzione); quindi applica un divaricatore. Se la diagnosi viene effettuata precocemente entro il 2° mese di vita, la soluzione è relativamente semplice: viene applicato un divaricatore che ha il compito di mantenere le cosce del bambino in flesso-abduzione, così da collocare stabilmente la testa femorale nell’acetabolo; si tratta in pratica di una mutandina semirigida  in neoprene (ideata e brevettata dal centro della lussazione dell’anca di Ferrara), imbottita, a cui il bambino si adatta rapidamente e che  viene indossata  giorno e notte, fino alla normalizzazione.

Se la diagnosi viene effettuata più tardivamente (ma sempre entro l’anno di vita), si ricorre a divaricatori più rigidi e complessi; dopo l’anno l’unica terapia, nella maggior parte dei casi, è quella chirurgica.

La pratica del cosiddetto “doppio pannolino” (2 panni a perdere fatti indossare l’uno sull’altro al bambino), si è dimostrata completamente inefficace alla soluzione anche delle forme meno gravi di displasia; purtroppo viene ancora utilizzata da qualcuno, con l’unico risultato di fare perdere del tempo prezioso.

Per questo è essenziale che la displasia venga diagnosticata in tempo, e che tempestivamente sia somministrata la terapia opportuna; solo così la guarigione potrà essere completa.

 

Dott. Salvatore Bonforte
Specialista in Pediatria
Master universitario in ecografia clinica neonatale
salvo.bonforte@alice.it


Potrebbe interessarti

Focus
Top